Ricordando Sergio Lorenzi (1914-1974)

a 50 anni dalla sua scomparsa
(Lonigo, 21 aprile 1914 – Venezia 16 marzo 1974)

Duo Pianistico Gorini-Lorenzi

Incoraggiato a seguire gli studi musicali dallo zio materno, Giuseppe Becce – autore rinomato di musica per film nella Berlino degli anni Venti e Trenta (collaborò, fra gli altri, con F.W. Murnau, G.W. Pabst, Leni Riefenstahl) – Sergio Lorenzi fu allievo della classe di pianoforte di Renzo Lorenzoni all’Istituto Musicale “Cesare Pollini” di Padova dove si diplomò con il massimo dei voti nel 1932. Si perfezionò quindi con Alfred Cortot a Parigi e con Alfredo Casella all’Accademia Chigiana di Siena.
Dopo aver debuttato come solista si dedicò prevalentemente alla musica da camera prima in duo con Lino Filippini (violoncello) e in Trio con  lo stesso e Turiddu Fadò (violino).

Nel 1938 fu scelto da Casella e dal Conte Chigi per la formazione del Quintetto Chigiano (Riccardo Brengola, violino – Mario Benvenuti, violino – Giovanni Leone, viola – Lino Filippini, violoncello – Sergio Lorenzi, pianoforte), formazione che diverrà ben presto uno dei complessi più prestigiosi della vita musicale internazionale. Nel 1944 formò con Gino Gorini il Duo Pianistico Gorini-Lorenzi, che si è ugualmente affermato in tutto il mondo, creando attenzione e interesse per una formazione abbastanza atipica.

Significativa è la testimonianza di Luigi Dallapiccola: “Non dimenticherò mai l’impressione fondamentale avuta la prima volta che mi avvenne, tanti anni or sono, di ascoltare un concerto del Duo Gorini-Lorenzi; impressione che potrebbe essere sintetizzata in una sola frase: due pianisti-artisti che hanno avuto da natura lo stesso tipo di respirazione. […] Eppure, fra tanti altri ricordi, uno rimane in me sempre il più vivo e il più alto: quello della serata in cui, nella sala del Conservatorio veneziano, i due artisti presentarono la Fantasia contrappuntistica di F. Busoni. Una esecuzione che, per grandezza di linea, per accuratezza nel dettaglio, avrebbe ridotto al silenzio il più preparato, il più esigente dei critici: un’esecuzione che toccava l’assoluto”.

Collaborò con numerosi altri artisti (Enrico Mainardi, Ginette Neveu, Gaspar Cassadò, Paul Tortelier, Pina Carmirelli, Giuseppe Garbarino, ecc). Ha insegnato al Conservatorio di Venezia e all’Accademia Chigiana, oltre che in numerosi corsi di perfezionamento (École normale de musique di Parigi con Paul Tortelier, Mozarteum Argentino di Buenos Aires).

La discografia del Quintetto Chigiano comprende i Quintetti di Brahms, Franck, Boccherini, Dvorák, Bloch, Šostakovič. Quella del Duo Gorini-Lorenzi comprende opere di Brahms, Busoni, Šostakovič, Schubert.

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LORENZI e PADOVA

Nel ricordo carissimo di Sergio Lorenzi è la memoria di una esperienza umana e musicale straordinaria che ha onorato la vita musicale italiana e della nostra città, Padova; ma ancora, la rievocazione di una stagione felicissima per la musica in Italia che lui visse da protagonista; quella stagione che vide la nostra vita musicale riaprirsi con fervore all’interesse per la musica da camera e ad un gusto e una sensibilità europea e moderna e che ebbe nell’Accademia Chigiana e nelle Settimane musicali senesi il grande polo d’irradiazione; di lì partì un’idea che fu – queste le parole del conte Guido Chigi Saracini nel 1932 –  “la garanzia d’un collaudo, la forza d’un incitamento, l’entusiasmo della realizzazione di un sogno”. Nel segno del messaggio di questa scuola (da cui uscì anche, nel 1942, il Quartetto Italiano) Lorenzi fu poi maestro indimenticabile di moltissimi giovani.

Ma passa anche, nel ricordo di questo nostro musicista, la rievocazione della Padova musicale in cui Sergio Lorenzi formò e maturò la sua personalità artistica; una Padova già da tempo «europea» e che aveva costruito una grande civiltà musicale a stretto contatto con i valori della musica strumentale del classicismo viennese e del romanticismo tedesco: prima attraverso l’Istituto musicale (fondato nel 1878 e retto poi dall’azione coraggiosa ed illuminata di Cesare Pollini fino al 1912), quindi attraverso la Società di Concerti Bartolomeo Cristofori (fondata nel 1920 e confluita nel 1958 negli Amici della Musica di Padova) che, nella sala di via C. Leoni, presentò per anni stagioni memorabili e per la scelta degli interpreti e per la qualità dei programmi.

(La Sala da Concerti dell’Istituto Musicale C. Pollini in via C. Leoni a Padova)

Di questa tradizione, Sergio Lorenzi fu splendido campione e la stessa tradizione oggi noi ci sforziamo di custodire gelosamente. Questa lezione (e particolarmente Sergio Lorenzi fu assai vicino alla nostra Associazione – Amici della Musica di Padova – durante la presidenza del prof. G. B. Belloni, 1967-1973) ci ha orientato decisivamente.

Una lezione fatta di curiosità per il nuovo e di senso vitale del passato, del piacere di vastissime ricognizioni musicali, di semplicità, di immediatezza, di insofferenza per il divismo, di illimitata fiducia nella musica e nei suoi valori che è al cuore stesso delle motivazioni ideali che ancora oggi ci animano e in cui, da lui, abbiamo imparato a credere fermamente. (Amici della Musica di Padova)

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RICORDO DI LORENZI  (di Mario Messinis)

(Riccardo Brengola, Sergio Lorenzi e Franco Ferrara in Piazza del Campo, Siena)

Il ricordo di Sergio Lorenzi è affidato soprattutto a coloro che lo frequentarono ed ebbero modo di conoscerlo, non soltanto come pia­nista in complessi celebri — come il Quintetto Chigiano o il Duo Gorini-Lorenzi — ma anche come docente all’Accademia Chigiana e al Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia. Pochissime sono le testimonianze discografiche che ci ha lasciato; e comunque a Lorenzi il disco non avrebbe reso piena giustizia.

La reputazione di cui godeva era altissima tra i professionisti della musica — Rudolf Serkin, per esempio, ne parlava con grande ammirazione — e tra i suoi molti allievi che lo raggiungevano da ogni parte del mondo: a Siena, a Parigi, o a Buenos Aires, ove teneva corsi di musica da camera. Il comune frequentatore di concerti non lo ebbe invece tra i suoi beniamini, proprio perché era l’antitesi del concertista puro o del pianista ‘agoni­stico’; così la sua prematura scomparsa non ha lasciato, in fondo, tra gli Amici della Musica una traccia profonda: è lo scotto che un artista del suo rango doveva pagare: Lorenzi aveva un’insofferenza per il soli­sta di grido, che macina per una vita i soliti venti pezzi di repertorio e la sua curiosità, anche negli ultimi anni, era insaziabile.

Nel panorama del concertismo italiano Sergio Lorenzi costituì quasi un unicum. Era tra i rarissimi pianisti della sua generazione che avevano costruito il proprio pensiero musicale a contatto con il classi­cismo austro-tedesco. Se la sua loquacità, il piacere della battuta franca e cordiale potevano anche rinviare, come ha notato Mila, a certa stra­vaganza veneta, nell’interprete non c’era nulla di tutto ciò. Il suo gusto, il suo modo di pensare la musica, lo portarono verso i leggendari solisti da camera di trenta o quarant’anni fa, ai Fischer, alle Haskil, agli Horszowski, che riuscivano ancora a conservare la luce della tradi­zione romantica, senza concedere nulla alla estroversione immaginifica o alla perorazione enfatica.

Cresciuto, al pari di Gino Gorini, vicino a Malipiero — anche se non ne fu diretto discepolo —, attento a quanto la cultura contemporanea offriva al suo sguardo alacre, non fu però nemmeno sfiorato, nel suo modo di far musica, dalla lunga dime­stichezza con la cultura neoclassica europea e parigina in particolare. Il suo mondo interpretativo non era legato a Stravinsky, a Casella o a Busoni — quello appunto di Gorini — ma a Mozart e a Beethoven, a Schumann e a Mendelssohn, a Schubert e a Brahms, anche se la lunga frequentazione coni testi novecenteschi lo stimolò ad aggiornare un patrimonio musicale che non doveva essere guardato come un fetic­cio intangibile, ma definito attraverso un atto di ricerca instancabile, anche nella straordinaria vitalità degli ultimi anni.

A ben vedere era un musicista assai meno estemporaneo di quanto potesse a prima vista, apparire. La sua era una estemporaneità esecutiva — che poi coinci­deva con la indifferenza per un professionismo strumentale troppo accu­rato e controllato (Lorenzi in realtà studiava poco il pianoforte e ciò qualche volta si sentiva nelle sue esecuzioni) —, ma non di pensiero interpretativo: interrogava ininterrottamente i testi prediletti, rimet­teva sempre in discussione, anche nella pratica dell’insegnamento, ogni dato acquisito: di anno in anno si poteva notare un mutamento anche sensibile nella concezione del fraseggio o nello stacco dei tempi. Con­cepiva insomma la sua attività come un discorso aperto e credeva nel colloquio con ogni interlocutore: per questo fu un didatta sommo e per questo fu sempre interessato a quanto pensavano gli altri inter­preti, tanto che non perse mai il piacere di frequentare i concerti, la gioia dell’ascolto diretto della musica.
Ciò comunque che lo apparentava ai vecchi maestri della tradizione tedesca era l’ossessione della continuità musicale: il suo discorso sacri­ficava qualche cosa della tensione analitica, così diffusa oggi, per sta­bilire le interne correlazioni non soltanto nell’ambito dei singoli movi­menti ma anche di un’intera composizione: quel convergere verso un centro unitario che era una delle leggi fermissime del pensiero esecutivo d’Oltralpe.

Sterminata era la sua conoscenza di tutto il repertorio da camera, anche di quello meno noto e minore, arricchito da un continuo aggiornamento sia in fatto di esecuzioni che di edizioni musicali (questo apparente improvvisatore era in realtà un fanatico indagatore degli Urtexte), e sapeva scoprire vertigini espressionistiche in una pagina di Reger o indugiare in un cantabile decongestionato allorché si accostava ad un adagio di Mozart o di Schubert. C’era poi, nel suo modo di porgere, un certo accento wienerish: che non signifi­cava concessione al dialetto o alla oleografia austriaca, ma semplice­mente conoscenza di una pronuncia romantica, che oggi ci appare sempre più lontana e difficile da recuperare con quella naturalezza: il segno di una consentaneità nativa con la lingua del classicismo viennese.

Lorenzi credeva nel valore dell’insegnamento: la sua aggressività polemica, il suo intervenire nei problemi della gestione del Conserva­torio, la sua costante apertura verso gli studenti, che ritrovavano in lui il maestro, testimoniavano un’illimitata fiducia nella musica. Nella sua scuola c’era il piacere febbrile di vastissime letture musicali, i suoi ragazzi dovevano conoscere i più diversi repertori, ampliare le loro esperienze. Teneva ai giovani: non a caso dava concerti anche con esordienti, proprio lui che aveva avuto dimestichezza esecutiva con Pablo Casals o con Paul Tortellier.

Ho rivisto Lorenzi più volte all’inizio di marzo al Benedetto Mar­cello, mentre preparava il saggio di studio di musica da camera con il solito instancabile fervore. Poi un attacco cardiaco l’ha stroncato sulla soglia dei sessant’anni. (Mario Messinis, Nuova Rivista Musicale Italiana, VIII, 1974)

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LORENZI ONLINE

Beethoven: Integrale delle Sonate per violoncello e pianoforte

– Sonata op. 5 n. 1 & n. 2
– Sonata op. 69
– Sonata op. 102 n. 1 & n. 2


Paul Tortelier, violoncello
Sergio Lorenzi, pianoforte
(registrazioni 3, 4 giugno 1967 – Venezia)

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