Richard Goode: un omaggio della Rivista Gramophone

Come tutti i più grandi musicisti-pianisti, Richard Goode sembra migliorare sempre di più. Ogni volta che lo ascoltiamo, ci colpisce più di quanto ricordiamo, ci sorprende, va al di là delle nostre attese e comunica impressioni che rimangono nella mente.
“Era in gran forma, no?” dice un amico dopo il recital di Goode alla Royal Festival Hall qualche settimana fa; certo, ma anche lo era in Schumann e Chopin – ancora meglio.
“Non è su di me”, potrebbe aver detto Richard Goode, ma d’altra parte era lui il pianista che eravamo andati ad ascoltare. Non è una cosa facile, vincere attraverso quella “seconda semplicità” (come credo Schnabel l’abbia chiamata), toccando la sorgente della musica, in modo che, proprio in quei momenti, essa sembra suonare da sola. La percezione, la comprensione e la padronanza sono ovviamente l’inizio della resa della pagina; in una esecuzione, far sì che ogni cosa succeda nel momento giusto , questa è la cosa difficile.
Nessuna meraviglia che qualche artista del temperamento di Goode prenda la strada lenta nel lavoro lungo una vita, restìo a fare tante registrazioni quante potrebbe volere.
All’età di 33 anni, Alfred Brendel aveva completato la registrazione di tutte le Sonate di Beethoven, la sua prima integrale, assieme a molte delle variazioni e delle pagine minori. “Mi sono appena gettato in una avventura, le cui conseguenze non posso prevedere più di quanto lo possa fare la casa discografica che ha posto fiducia in me”. Penso spesso a Brendel e a Goode come di due spiriti affini, non solo per il repertorio Austro-Tedesco che hanno condiviso ma soprattutto per le loro menti indagatrici. Essi condividono una incessante curiosità intellettuale. Certo all’età di Brendel, Goode non era ancora certo sull’impegno da mettere per diventare un artista solista.
Si era ormai affermato come musicista da camera nella sua città natale, New York – ma lasciare la relativa sicurezza della musica da camera? Non era privo di incoraggiamenti nel fare questo. Rudolf Serkin aveva notato il suo talento fin da giovane e lo aveva subito invitato alla Marlboro Music School e al Festival (dove dal 1999 Goode è co-direttore assieme a Mitsuko Uchida).
Goode descrive l’esperienza di Marlboro come forse la parte più importante della sua educazione musicale. Serkin, devoto alla musica da camera e uno dei più famosi pianisti americani, continuò ad essere una continua presenza. Serkin avrebbe potuto essere un ispiratore ma fu invece qualcuno di cui avere soggezione; Goode ricorda come lo rese consapevole di quanto fosse rigorosa e impegnativa la musica: “Suonare bene e fare il meglio possibile, cercare sul serio di trovare il vero nella musica, era la cosa più importante”.
C’era una lunga strada da percorrere. Scoprire cosa c’è in un testo musicale non è una nozione poco complicata, per un inizio, e non sorprendentemente Goode passò molto tempo per trovare la sua strada e per imparare dalla forza della intensità di Serkin – una caratteristica del grande uomo in ogni cosa, ma anche un pericolo per un allievo che avrebbe potuto coprire i propri impulsi personali. “Furono le lezioni più intense che io abbia mai avuto con qualcuno”, Goode ricorda.
Riconosce anche con calore la contro-influenza che trovò nelle lezioni di Mieczyslaw Horszowski, dal quale “imparò un sacco sul modo in cui la musica era composta”.
Andiamo rapidamente ora alla stagione 1987-88 a New York e ad un ciclo di gran successo sulle Sonate di Beethoven nella sala nota come 92nd Street Y. Questo portò ad un recital nella Carnegie Hall – il primo per Goode, all’età di 47 anni – e alla registrazione delle Sonate per Nonesuch. Leggiamo Gramophone: quando le Sonate furono pubblicate in Inghilterra nel 1994 furono segnalate come incisione consigliata e furono giudicate tra le migliori di sempre. Goode ha mantenuto i suoi legami con Nonesuch con registrazioni di qualità.
Richard avrà 69 anni in quest’anno e si spera in molte altre registrazioni, ma il raccolto è già ricco e consistente. Ci sono stati sei Concerti di Mozart con la Orpheus Chamber Orchestra, e il K491 merita una segnalazione: non c’è una versione migliore in catalogo. I cinque Concerti di Beethoven con la Budapest Festival Orchestra e Ivan Fischer. Ci sono stati recital di Mozart e Chopin, uno Chopin che ha disorientato quelli che amano il Beethoven di Goode, ma essere ai massimi livelli per Beethoven e per Chopin può essere difficile per uno stesso interprete. Ma, come Goode mi disse, quale compositore dell’Ottocento si ritrova nell’eroismo tragico di Beethoven meglio che Chopin?
Come ha detto il clarinettista Richard Stoltzman: “Puoi immaginare Richard se fosse divenuto un solista affermato e noto a 25 anni? Avrebbe perso la profondità e il respiro di una intensa meditazione sulla musica, che solo il tempo ha reso possibile. La sua concentrazione è ciò che lo separa dalla maggior parte dei musicisti”.
(Stephen Plaistow, Gramophone, Maggio 2012)